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Il mondo alevita

Date 09-12-2024

por Claudio Monge

Il 13 settembre scorso, il Consiglio comunale della Città Metropolitana di Istanbul, una sorta di parlamento che raduna i rappresentanti delle 60 circoscrizioni comunali della megalopoli turca, ha deciso di riconoscere ufficialmente le “cemevi” come luoghi di culto a tutti gli effetti e di assegnarli alla direzione per le Relazioni con le Istituzioni e le Comunità Religiose, ampliando così l’ambito delle responsabilità di quest’ultima. Una cemevi è il luogo di preghiera (alternativo alle classiche moschee) degli aleviti: gruppo religioso dall’origine controversa, che affonda le proprie radici probabilmente nel XIII secolo.

All’interno dell’islam di Turchia in maggioranza sunnita, gli aleviti rappresentano un islam di ispirazione sciita che santifica Ali, cugino e genero di Maometto, e i suoi discendenti. Come i musulmani sciiti, gli aleviti credono che i dodici Imam siano gli unici rappresentanti dell’Islam, rifiutando la legittimità dei successivi califfati omayyade, abbaside e persino ottomano, nella successione profetica. Gli aleviti costituiscono sicuramente il secondo gruppo religioso di Turchia, forse il 20% della popolazione dell’intero Paese, una fetta elettorale estremamente importante e non trascurabile, spesso e volentieri sedotta e abbandonata in occasione dei turni elettorali. Quello di Imamoğlu, sindaco del grande agglomerato urbano, è ovviamente un gesto di valenza politica che travalica l’ambito dell’amministrazione della città. Non a caso il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) al governo, si è opposto alla decisione del consiglio comunale, sostenendo che essa esula dalle sue responsabilità, coinvolgendo una dimensione costituzionale e quindi di carattere nazionale. In realtà, neppure il variegato universo alevita si muove in modo unitario in questa complessa questione. I capitoli della storia che raccontano la problematica relazione tra aleviti e potere turco sono dominati dall’ostilità e i primi si son spesso sentiti come minoranza indesiderata, quando non perseguitata. Ma il problema oggi, è più culturale che religioso. La stragrande maggioranza degli aleviti vive una vita laica e vede l’alevismo principalmente come un’affiliazione di tipo culturale, ma questo non li salva dallo stigma religioso.

A più riprese, lo stesso presidente turco ha promesso una nuova istituzione all’interno del ministero della Cultura, la “presidenza della Cultura Alevi Bektashi e dei Cemevis”, responsabile della costruzione di nuove sale del culto, del mantenimento delle attività educative e religiose, e della promozione degli studi aleviti nelle università e in altri istituti di ricerca. C’è però il sospetto che si tratti di manovre per tenere maggiormente sotto controllo le espressioni dell’alevismo, mentre gli aleviti chiedono soprattutto di essere riconosciuti come cittadini a pieno titolo, con una propria concezione dell’islam. Dagli anni ’60 in poi la Turchia ha registrato pagine tragiche che hanno visto questa comunità vittima di attacchi violenti: a Çorum, Malatya, Maras, Gazi, fino alla tragedia di Sivas del 1993 in cui, in un culmine di odio e follia, alcuni uomini diedero fuoco a un albergo che ospitava musicisti e cantanti intenti a celebrare Pir Sultan Abdal, un santo e poeta molto venerato nella tradizione alevita. Trentasette persone morirono bruciate vive. Sono ferite che rimangono aperte e che alimentano il sospetto, anche nei confronti delle presunte aperture politiche di carattere elettoralistico e strumentale. Anche per questo, l’iniziativa della Città Metropolitana di Istanbul rappresenta un approccio diverso: un’apertura programmatica che si accompagna a una rinnovata attenzione anche per le espressioni di culti non islamici, con l’obiettivo di una cittadinanza più inclusiva, degna di una città a vocazione universale adagiata su due continenti e in aperto contrasto con un discorso politico polarizzante.


Claudio Monge
NP ottobre 2024

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