La speranza qui e ora
Date 06-01-2025
Recentemente in monastero abbiamo avuto un’esperienza che si può dire di vera “consolazione”, nel senso più autentico di questa parola. Consolare, infatti, non è semplicemente asciugare lacrime, ma aiutare a vedere l’aprirsi di un orizzonte di vita quando, nel chiacchiericcio circostante, si parla solo di tenebre. Non stiamo vivendo un periodo facile: questo mi sembra chiaro, anche se non penso che l’umanità sia diventata più selvaggia, violenta o decadente dei tempi passati. Basta studiare la storia, di quella che non si limita a essere celebrativa o arrogante verso l’estraneo, chiamato nemico. Il cristiano non chiama nessuno nemico, salvo, forse, il diavolo divisore e tentatore che non si ferma nel girarci intorno per seminare inimicizia, sospetto e chiusura individualistica o campanilistica.
Per una ventina di giorni abbiamo visto un buon numero di giovani (la quantità non conta; nei monasteri in genere non si fanno raduni oceanici, davanti ai quali sono sempre sospettoso) che, messi in condizione di libertà e stimolati da buoni interessi, hanno saputo dare il meglio di sé e contraddire quello che ingiustamente spesso si dice di loro. Non erano ragazzi e ragazze speciali, usciti da oratori o da movimenti che inquadrano e formano bene; molti potevano dirsi, secondo il titolo di un famoso libro di Gilbert Cesbron: Cani perduti senza collare, anche se non potevano dirsi “perduti” nel senso del libro. Il collare che mancava era la passione per la vita, un obiettivo di ricerca, uno sguardo sereno sul futuro, un impegno in favore dell’umanità. Trovandosi fra di loro, sconosciuti gli uni agli altri, e alternandosi senza schema fisso (chi arrivava era accolto e poteva stare quanto voleva) sono riusciti a creare un clima d’amicizia, di serenità, di solidarietà e di interesse per ciò che era loro proposto da vari intervenienti dalle proposte molto diverse, quasi immediato.
Sono forse solo piccoli semi di speranza, ma tra la semina e il raccolto l’agricoltore deve rimboccarsi le maniche. Sembra che le cose si facciano naturalmente, ma il clima va preparato. Se davanti a quello meteorologico ci sentiamo spesso impotenti, per quello della crescita umana possiamo e dobbiamo fare molto e per prima cosa dobbiamo crederci. La speranza sgorga dai nostri occhi, da come guardiamo la vita che ci circonda, da come accogliamo ciò che spesso solo silenziosamente ci interpella. E nel segreto, nascosto e sottoterra, il lavoro che sta facendosi è già molto importante, perché il primo a non incrociare le braccia è il nostro Creatore.
La speranza tocca tutti gli ambiti della nostra esistenza, a cominciare da noi stessi. Troppo spesso si incontrano persone che non hanno speranza sulla loro vita, che sono state bloccate sia da un loro sbaglio, che da atteggiamenti di altre persone. Non si può disperare davanti al proprio peccato, qualunque esso sia, perché esiste sempre il perdono. E questo è non solo di Dio, ma di noi tutti. Uccidiamo la speranza se non perdoniamo. Speranza anche sugli altri: ogni persona è un campo che va coltivato. Non bisogna gettare pietre e sale su nessuno, perché tutti abbiamo la responsabilità su ciascuno.
Sperare non è illudersi, chiudere gli occhi o fuggire nel sogno. È fiducia che il lavoro buono che ciascuno fa per gli altri porti frutto, anche se il risultato non è quello immaginato. Nessuno può vedere nel suo lavoro la pienezza del risultato: ognuno deve semplicemente mettere il suo pezzo e il capolavoro si fa piano piano lungo i secoli!
Cesare Falletti
NP ottobre 2024