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Sotto attacco

Date 05-05-2025

por Edoardo Greppi

San Francisco, 1945, 26 aprile, viene firmato lo Statuto delle Nazioni Unite (onu), e l’organizzazione è effettivamente costituita il successivo 24 ottobre. «Noi, popoli delle Nazioni Unite, siamo determinati a preservare le generazioni future dal flagello della guerra, che già due volte nella nostra vita ha portato indicibili sofferenze all'umanità». Questa è la forte volontà che i diplomatici – a nome dei loro governi – hanno voluto dichiarare nel preambolo della Carta dell’onu. La parola “guerra” compare soltanto lì, nel
preambolo. Per tutto il resto della Carta si parla di divieto «dell’uso della forza», e l’impegno che gli Stati hanno assunto e di non usare la forza «sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di uno Stato sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite».

Per tutti i secoli precedenti la guerra non era mai stata vietata dal diritto internazionale, come non era vietata dagli ordinamenti degli Stati. Questi – accanto a un ministero dell’Interno, a uno degli Affari Esteri, a uno della Giustizia, avevano un “ministero della Guerra”, perché la guerra era lecita, non violava un diritto che non la vietava. La guerra era, per così dire, “costituzionalizzata”. Era oggetto di discussione (e di divieti) nella filosofia, nella morale, nella teologia, ma non nella sfera del diritto.
Ebbene, la Carta dell’onu rappresenta la volontà degli Stati – dopo le tragedie delle due guerre mondiali – di “voltare pagina”. Gli Stati membri dell’onu si impegnavano e si impegnano tuttora a non usare la forza, a non muovere guerra. Si impegnano a cercare la soluzione pacifica delle controversie che li contrappongono, e a dare vita a un “sistema di sicurezza collettiva”, sotto l’autorità di un “consiglio di sicurezza” dotato di potere di decisione. Nasceva in quel 1945 una nuova comunità internazionale, che si affidava al metodo del multilateralismo istituzionalizzato per assicurare la pace e la sicurezza internazionale. Insomma, con le sole eccezioni della legittima difesa e dell’uso della forza per decisione o almeno autorizzazione del consiglio di sicurezza, la guerra veniva finalmente bandita. Non solo, ma si vietava non soltanto l’uso della forza, ma anche la minaccia dell’uso.

Il neo presidente Donald Trump il 7 gennaio scorso ha espresso platealmente minacce di uso della forza per riprendere il controllo del canale di Panama e per ottenere dalla Danimarca la cessione di sovranità sulla Groenlandia. Con toni violenti, l’uomo dai capelli pitturati di arancione esprime minacce di uso della forza, addirittura contro un alleato della nato. Non lo farà, ma i toni usati sono inquietanti, e rappresentano un attacco ai fondamenti dell’ordine internazionale del dopoguerra, al multilateralismo fatto di dialogo, cooperazione, rispetto, fiducia reciproca.
L’inquietante personaggio (che ha anche il controllo di un enorme arsenale nucleare) si è addirittura spinto a minacciare il Canada, che ha deriso indicandolo come 51° Stato dell’Unione.

I prossimi mesi e anni permetteranno di vedere quanto di questo sia oscena aggressività verbale, o premessa di qualche sgangherata iniziativa negoziale o, peggio, di azioni sconsiderate. Tuttavia è innegabile che rappresenti un ritorno a un passato che ci auguravamo fosse stato consegnato alla Storia. Si tratta del linguaggio dello zar sovietico Putin, un feroce dittatore che ha voluto esumare gli spettri del peggiore passato della Russia zarista mescolati a quelli della tragedia dell’Unione Sovietica. Il criminale del Cremlino (così è, alla luce del mandato di arresto spiccato dalla corte penale internazionale) ha scatenato nel febbraio 2022 una guerra di aggressione di modello ottocentesco e novecentesco. Trump lancia oscene minacce che evocano gli stessi scenari del passato. Per ora Xi Jinping, il tiranno della Città Proibita di Pechino, tace, ma è pronto a percorrere le stesse vie, attaccando Taiwan.

Il diritto internazionale in generale e il diritto dei trattati in particolare sono sotto attacco. Nel dopoguerra abbiamo assistito a numerose violazioni del diritto internazionale, da parte di molti Stati (come usa in Iraq, Putin in Ucraina, Netanyahu in Palestina), ma questa è la prima volta che un presidente degli Stati Uniti minaccia l’uso della forza «contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica» di Stati sovrani.

A San Francisco, gli Stati Uniti hanno ospitato nel 1945 la conferenza diplomatica chiamata a delineare un nuovo ordine mondiale, fondato sulla dichiarata volontà di risparmiare alle future generazioni (cioè a noi) «il flagello della guerra». Oggi il governo di quello stesso Paese rinnega quella costruzione. Addirittura la deride. Un presidente eversivo che quattro anni fa ha mostrato di non avere remore a incoraggiare un attacco alle istituzioni che sono a fondamento di una grande democrazia, oggi si presenta come eversore dell’ordine internazionale.

Un capitolo a parte riguarda i rapporti con l’Europa. Nel suo primo mandato presidenziale, Trump aveva sostanzialmente ignorato l’Unione europea, e le relazioni usaue erano diventate molto tese. L’Atlantico era diventato più largo. Appena eletto, il presidente Joe Biden aveva riavvolto il nastro, dichiarando subito, come messaggio rassicurante per gli europei, America is back, l’America è tornata. Ora gli Stati Uniti di allontanano di nuovo, e questo significa l’inizio di un’epoca buia nelle relazioni internazionali e per il diritto che le disciplina.


Edoardo Greppi
NP febbraio 2025

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