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Un compito difficile

Date 28-10-2024

por Edoardo Greppi

L’integrazione europea di Stati e popoli del continente è un grandioso progetto politico, avviato 75 anni fa, e caratterizzato nei decenni successivi da importanti realizzazioni, all’insegna della gradualità di una costruzione sovrannazionale.

Per queste realizzazioni la politica si è affidata al diritto e alle istituzioni che su di esso sono fondate. Le vecchie Comunità europee – oggi Unione europea – sono il risultato di scelte politiche affidate a una sequenza di trattati (dapprima istitutivi delle Comunità, e poi via via modificativi e integrativi di essi). I trattati hanno stabilito obiettivi, principi e regole per attuare la graduale integrazione degli Stati europei.
Il grande progetto politico ha il suo fondamento in un sistema di valori condivisi e, soprattutto, sulla dichiarata volontà di metterli a fondamento di un futuro comune, che permettesse davvero all’Europa di lasciarsi alle spalle le tragedie della prima metà del XX secolo.

Nel giugno scorso, i popoli degli Stati membri sono stati chiamati alle urne per eleggere i membri del nuovo Parlamento europeo. Le regole stabilite nei trattati sono ispirate alla volontà di dare vita a una dialettica parlamentare fondata su partiti “europei”, formazioni che riflettono le ispirazioni e gli orientamenti dei membri proiettati in una dimensione europea. L’aula a emiciclo del Parlamento europeo (pe), cioè, non vede i parlamentari collocati secondo gruppi nazionali (i francesi tutti insieme da una parte, e poi i tedeschi, i ciprioti, i lituani, gli italiani, i polacchi e così via per 27 gruppi). Essi sono inseriti in formazioni politiche europee, quali il Partito Socialista Europeo, il Partito Popolare Europeo, i liberali, i conservatori e così via. I parlamentari eletti dal popolo di ciascuno Stato membro vanno a collocarsi in queste formazioni europee.

La campagna elettorale e l’esito delle recenti elezioni offrono spunti per qualche considerazione sulla natura per così dire dualistica del “fare politica” in un organo parlamentare europeo. Ciascun parlamentare è espressione della realtà dello Stato membro cui appartiene e, allo stesso tempo, diventa artefice di azioni e politiche di natura europea.

Nel mondo dell’informazione si è cercato di semplificare il quadro delle formazioni che si sono presentate agli elettori nei diversi Stati membri, presentandoli come favorevoli all’integrazione europea oppure “sovranisti”, volti cioè alla strenua difesa della sovranità nazionale.

In linea generale, l’esito del voto – che ha visto una partecipazione scarsa - pare non avere premiato i partiti “sovranisti”. In altri termini, ai primi posti sono state confermate tre formazioni “europeiste” (socialisti, popolari e liberali). Non si può, tuttavia, non constatare che alcune formazioni di estrema destra di diversi Paesi (Francia, Italia, Ungheria, Repubblica Ceca, Germania, Austria, Olanda…) hanno ottenuto rilevanti numeri di seggi, e il nuovo pe vede nel suo seno gruppi politici dichiaratamente ostili al progredire dell’integrazione. Il neonato gruppo dei “Patrioti”, poi, è un indecente campione di intolleranza, razzismo, xenofobia. All’estrema sinistra si trova La France insoumise dell’impresentabile Melanchon.

La nuova composizione del Parlamento permette di constatare l’inevitabile contraddizione tra la volontà di realizzare programmi politici che rivendicano il primato della sovranità nazionale e la necessità di dare vita a formazioni europee, plurinazionali. In queste formazioni, cioè, i parlamentari di ciascuno dei partiti nazionali vanno a sedersi accanto a colleghi che sono portatori di più differenze che affinità per quanto riguarda l’espressione degli interessi. Basti pensare al tema dell’immigrazione. Ad esempio, Le Pen, Orban, Salvini sono sovranisti portatori di interessi non convergenti su aspetti come frontiere, accoglienza, solidarietà (per non scomodare la fraternità).
Vi sono, poi, alcuni grandi temi che richiedono visioni e obiettivi condivisi, per affrontare efficacemente le sfide dei nostri giorni. Nei prossimi anni l’Unione Europea non potrà non affrontare temi di grande respiro: la necessità di una politica estera e di difesa comune; le sfide di ambiente e clima; le urgenze in materia di immigrazione; le scelte economiche, commerciali, finanziarie e fiscali.
Queste sfide si presentano a un grande soggetto – l’ue – la cui capacità di adottare azioni efficaci è ancora limitata da regole e procedure che conferiscono un potere eccessivo ai singoli Stati. Materie importanti (come politica estera e di difesa) sono ancora condizionate dalla regola che impone decisioni unanimi. Le sgangherate sortite delle scorse settimane dell’ungherese Orban (che si dichiara capo di una “democrazia illiberale”, un evidente ossimoro) mostrano quanto sia difficile per l’Unione assumere iniziative importanti in un periodo drammatico che vede protrarsi (per chissà quanto ancora!) una guerra in Europa.

Settant’anni fa, nell’agosto 1954, l’Assemblea Nazionale francese (con il voto convergente di comunisti e gollisti) affossava il trattato istitutivo della Comunità Europea di Difesa (ced), colonna portante di un’auspicata unione politica, fortemente voluta dal presidente Alcide De Gasperi.
Nel suo bellissimo libro De Gasperi uomo solo, la figlia Maria Romana scrive: «Vidi le lacrime che scendevano senza vergogna sul volto ormai vecchio di mio padre, mentre gridava al telefono al presidente del Consiglio: “Meglio morire che non fare la ced (…) Questo non è un problema da gioco parlamentare sul quale si possa giungere a compromessi, è una pietra angolare. Se l’Unione Europea non la si fa oggi, la si dovrà fare inevitabilmente tra qualche lustro; ma cosa passerà tra oggi e quel giorno Dio solo lo sa”».
Di lustri ne sono passati 14, e l’integrazione non progredisce. Potrà farlo con un Parlamento europeo ostaggio di sovranisti e populisti di varia estrazione?


Edoardo Greppi
NP agosto / settembre 2024

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