pianeta carcere
Date 22-01-2025
Uno dei nodi cruciali che non solo il tempo odierno ma anche gli anni passati non sono riusciti a sciogliere è il “problema carcere”. Sembra perfino superfluo ribadire che la mancanza di attenzione alle necessità di chi vive dietro le sbarre – detenuti e operatori penitenziari – ha prodotto e produce drammi e perfino tragedie, come i recenti casi di maltrattamenti feroci e di suicidio delle persone recluse. Non sono nondimeno mancati i tentativi di contrasto a questa situazione, e anche il Sermig nel suo piccolo, fin dagli anni '70, ha mosso alcuni passi in questa direzione, cercando in vari modi di assicurare ai detenuti la possibilità di un reale recupero in vista del reinserimento a pieno titolo nella vita civile, che è quanto prevede la nostra Costituzione. La nostra comunità aveva avvicinato il mondo del carcere a Torino presso il carcere Le Nuove, dove Ernesto Olivero era volontario, incontrando i detenuti che chiedevano di parlargli. In seguito, l'incontro con alcuni reclusi dissociati, appartenenti alle frange eversive di sinistra e di destra, portò alla realizzazione della Cooperativa Agape, una cooperativa di lavoro, prima in Italia, che operò sia dentro che fuori dal carcere. L'intento era ed è quello di rompere l'isolamento dei detenuti favorendo contatti con il mondo esterno e nello stesso tempo sensibilizzare la società civile su questo spaccato di mondo che non può essere ignorato e abbandonato. Frequentando le case circondariali e mantenendo i contatti attraverso una fitta corrispondenza con le persone detenute venimmo a conoscenza di storie di disperazione che ci aiutarono a maturare la consapevolezza che l’uomo in ogni caso non è il suo errore e ha diritto ad avere una seconda possibilità.
A questo proposito, nel penitenziario di Porto Azzurro durante la rivolta del 1987 entrammo in contatto con Pietro Cavallero, ergastolano, noto all'opinione pubblica per una famosa serie di rapine avvenute negli anni '50, raccontate poi nel film di Lizzani, Banditi a Milano. Quando ottenne la semilibertà venne a vivere all'Arsenale della Pace dove cambiò vita, completando il suo percorso umano a servizio dei poveri e dei suoi ex compagni di detenzione accompagnandoli nel reinserimento.
Nel novembre 2000 inviammo una lettera indirizzata al Presidente del Consiglio, ai presidenti di Camera e Senato e a esponenti politici di ogni partito in cui proponevamo “Il Tempo della remissione": «Si tratta di un gesto di clemenza quanto mai opportuno, che saprà trovare nella saggezza legislativa delle Istituzioni preposte la giusta via per essere realizzato. È un gesto di generosità, un'apertura di credito nei confronti di persone che hanno sbagliato e che per questo sono state giustamente sanzionate dal nostro ordinamento, ma è insieme una misura pratica che può contribuire a umanizzare molti istituti carcerari sfoltendo la popolazione carceraria. Il Tempo della remissione può concretamente disarmare una parte della nostra società attraverso un gesto di indulgenza condiviso da credenti e laici, da esponenti delle diverse forze politiche, da gruppi e associazioni, da vasti strati della popolazione».
La proposta non ebbe seguito, ma non ci siamo scoraggiati e continuiamo all’Arsenale della Pace ad accompagnare il “pianeta carcere” accogliendo nella misura in cui ci è possibile le richieste degli avvocati di poter inserire in un tempo per lavori socialmente utili chi ha infranto la legge. Anche questo ci pare un gesto in favore della giustizia, perché l’uomo non è mai il suo sbaglio.
NP novembre 2024
Redazione Sermig