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Ibridazione tecnologica: nuova frontiera

L'incontro di tecnologie vecchissime e poverissime con quelle nuove e scientificizzate è una speranza per risolvere i problemi dei più poveri: non per competere nella corsa ai consumi ma per raggiungere quelle soglie di sviluppo indispensabili, oggi, per una vita che possa utilizzare tutte le potenzialità che Dio ha messo a disposizione dell'umanità.

In un mondo profondamente tecnologizzato, riproponiamo delle riflessioni sulla tecnologia abbinata alla speranza. Una rubrica di Progetto scritta trent’anni fa da Ceragioli, ingegnere e tecnologo che ha messo il suo sapere e le sue competenze a servizio dello sviluppo economico e sociale delle persone e dei Paesi più poveri. Per chi la tecnologia, per che cosa? Non solo per il piacere del nuovo, ma per sostenere la vita e dare speranza.

Tanto tempo fa, quando non c'erano regolamenti e norme, c'era una volta un uomo che voleva costruirsi una casa bella, diversa dalle altre e ci lavorò un gran tempo. Prese i mattoni e con cura li mise uno sull'altro collegandoli bene con malta di cemento. Prese grosse travi di legno per il tetto, le incastrò e le unì con chiodi robusti e fece grandi capriate, belle anche a vedersi. Prese poi molti altri elementi, finestre, vetri, pavimenti e tante altre cose e finì la casa. Essa era finita e l'uomo stava per portarci dentro i mobili e la famiglia quando gli venne, improvviso ed angoscioso, un dubbio: starà in piedi la mia casa? sarà sicura? Egli non poté darsi una risposta perché era la prima volta che costruiva una casa e questa era diversa da tutte le altre che aveva visto: dovette rischiare. Non è una grande storia, e nemmeno lunga: è, infatti, già finita, perché non sappiamo cosa capitò a quell'uomo. Ma sappiamo cosa capitò nei secoli seguenti. L'uomo costruì tante altre case simili e trovò delle regole, le “regole dell'arte del costruire”, che, se rispettate, gli garantivano che la casa, costruita esattamente in quel modo, sarebbe stata sicura.

Ma come essere sicuri che la costruzione era proprio identica alla “casa sicura”? L'uomo, allora, cercò di produrre meglio i mattoni, in modo che fossero tutti ugualmente resistenti e, un po' per volta, inventò l'industria che, come suo pregio principale, dovrebbe proprio avere quello di garantire la costanza della qualità dei suoi prodotti. Ma si potevano costruire anche case diverse? L'uomo allora studiò, cercò e riuscì a fare dei calcoli per prevedere, garantirsi prima ancora dell'inizio della costruzione, che la casa, se fatta bene, anche se diversa da quelle costruite prima, sarebbe stata sicura. Ma si potevano fare case più sicure?

Arrivano le normative
L'uomo allora, in base alle sue esperienze e ai suoi calcoli, stabilì delle regole che tutti dovevano seguire. Qui arrivarono, però, le difficoltà. Per seguire le regole bisognava essere degli esperti, avere molti soldi, usare materiali buoni e cari e, poi, bisognava ricordarsi di tutte le regole: e queste sono tutte cose difficili. Tanto difficili che - per citare un esempio - anche un gruppo di noi, in un libro a più mani (“Un manuale di autocostruzione con componenti industrializzati”) ha riportato, inavvertitamente, degli errori sull'impianto elettrico, cercando poi di raggiungere in tutti i modi possibili (errata-corrige, avvisi, telefonate) i fortunatamente non molti lettori perché non seguissero quegli errori con loro pericolo. Tanto difficile soprattutto per i più poveri, per i meno informati, ad esempio per molte popolazioni agricole dell'Africa e dell'Asia. Quale soluzione al problema di tenere bassi i costi e contemporaneamente essere sicuri, anche con materiali scadenti, per contadini non esperti che si fanno la casa da soli con mattoni di fango in Africa e Asia?

Fango e microcomputer
È un po' di tecnologia avanzata che forse potrà andare incontro a questi emarginati per cui la casa sicura è un sogno. Pensate ad un micro-computer, un piccolo aggeggio elettronico che possa essere portato di fronte alla casa in costruzione e, senza rompere il muro e senza quasi toccare i mattoni di terra o il tetto o le travi, essere in grado di segnalare se la resistenza è sufficiente, se non ci sono degli errori. E, se gli errori ci fossero, permettere di aggiustarli subito, con la casa ancora in costruzione, anche a chi non è del mestiere. È, forse, un discorso un po' pasticciato e non chiarissimo, ma chi lo ha seguito fin qui ha scoperto una nuova piccola “speranza tecnologica”: quella di poter costruire case con mattoni di fango ma resistenti quanto basta, fatte da mano d'opera che vede per la prima volta un mattone ma che riesce a costruire case sicure.
E come mai tutto ciò? Perché si cerca di mettere insieme le vecchie tecniche, i vecchi modi di costruire, con materiali poverissimi, con gli strumenti elettronici, prodotti da una tecnologia sofisticata e avanzatissima. È come fare un innesto su una pianta antica di un ramo diverso o un'ibridazione di tipi diversi di granoturco, uno ben radicato nell'agricoltura locale e l'altro con caratteristiche di grande resa produttiva. Ecco, l'ibridazione in agricoltura è un modo antico di fare, ma è un modo anche modernissimo su cui si è basata una rivoluzione verde che, se non ha ottenuto tutti i suoi obiettivi, è riuscita, comunque, a ridurre la fame in molti villaggi e a dare maggiori mezzi di sviluppo ad alcune nazioni. Modo modernissimo perché le nuove ibridazioni genetiche, di piante e animali, nascono nei laboratori di ricerca, dopo studi di anni da parte di molti scienziati.

Una sintesi per l'uomo
Ebbene, unire mattoni di fango messi su da contadini inesperti e apparecchi elettronici che ne controllano le qualità sul posto, là dove si costruisce la casa, è una forma di ibridazione tecnologica di cose vecchissime e poverissime con cose nuove e scientificizzate: è l'incontro di civiltà per risolvere i problemi dei più poveri. Più poveri che hanno bisogno di usare tutta l'esperienza dei secoli ma anche tutta la tecnologia e la scienza del presente: non per competere nella dannata corsa ai consumi, ma per raggiungere quelle soglie di sviluppo indispensabili, oggi, per una vita che possa utilizzare tutte le potenzialità che Dio ha messo a disposizione dell'umanità. Anche noi abbiamo una qualche possibilità concreta di aiutare, col nostro lavoro di ricerca, e non solo con aiuti economici o appoggio politico: approfondire il nostro mestiere per cercare tecnologie ibride utili al Terzo mondo nell'edilizia, nella meccanica, nell'insegnamento, nella tipografia, nell'agricoltura, nei lavori casalinghi, nella medicina, in ogni tipo di lavoro: e trovata qualche idea semplice e utile metterla a disposizione, ad esempio, degli organismi di volontariato perché la sperimentino con le popolazioni interessate. E chissà che qualcosa non serva, anche, direttamente, per la nostra società, per le nostre famiglie e per farci uscire dal consumismo ottuso che chiede sempre, anche quando non serve, la qualità migliore, il prodotto più caro. Sarebbe anche questo un risultato bello e molto importante.

dalla rubrica di Progetto 1983 LA SPERANZA TECNOLOGICA (10/10)

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