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L’uomo e il suo robot (2/2)

di Giorgio Ceragioli - L’uso dei microcomputer e dei robot è una realtà in piena espansione. L’uomo, per non esserne schiavo, dovrà esserne il padrone, dando ad essi significato e finalità di liberazione.

In un mondo profondamente tecnologizzato, riproponiamo delle riflessioni sulla tecnologia abbinata alla speranza. Una rubrica di Progetto scritta trent’anni fa da Ceragioli, ingegnere e tecnologo che ha messo il suo sapere e le sue competenze a servizio dello sviluppo economico e sociale delle persone e dei Paesi più poveri. Per chi la tecnologia, per che cosa? Non solo per il piacere del nuovo, ma per sostenere la vita e dare speranza.

Sono tre i settori che mostrano maggiore interesse per l’uso dei calcolatori piccolissimi o microcomputer: il lavoro, l’informazione a distanza, le nazioni più povere del mondo. L’applicazione nel lavoro del microcomputer comporta automazione, robot meccanici – come quelli dei film fantascientifici – a sostituire gli uomini, fabbriche senza operai. Tutto ciò fa pensare a molti che ci si avvierà a una forte disoccupazione, con danni gravissimi per i più deboli che verranno emarginati dal processo produttivo e dalla società. Altri – e, tra i più noti, Servan-Scheiber, importante uomo politico e autore del libro “Sfida mondiale” – sostengono che questi fenomeni negativi saranno largamente compensati dalle migliaia di nuovi posti di lavoro necessari per costruire, ma soprattutto per far muovere e per programmare i computer e i robot.

Coloro che ne mettono in evidenza i vantaggi ci ricordano come i robot stanno sostituendo gli uomini nei lavori più pericolosi e più faticosi; che la gente avrà più tempo libero, che il lavoro costerà meno e perciò costeranno meno i prodotti. D’altronde di robot ne esistono già molti e il loro numero sta aumentando. Ma se il campo delle fabbriche è certo importante per l’uso dei microcomputer, altrettanto o più importante è il loro intervento nel settore dell’informazione a distanza. È anche per la loro utilizzazione che si può pensare ai giornali stampati in casa, per la pagina che interessa; all’accesso da parte di tutti a banche enormi di dati, in modo che tutti posseggano le notizie che interessano loro; a operazioni a distanza; a seguire i corsi universitari dal proprio paese; a far la spesa e pagare i conti senza muoversi, a fare riunioni e assemblee con la possibilità di intervento anche per chi vive in piccoli paesi e luoghi distanti, senza necessità di muoversi dalle loro case.

Tutto ciò non è fantascienza, ma realtà in parte già esistente. Gli USA sono in testa, il Giappone li segue, ma anche in Italia si possono fare riunioni per telefono comunicando contemporaneamente con più gruppi di persone, sedute, riunite in nazioni diverse. Il terzo settore è quello dei Paesi più poveri. Scrive Servan Schreiber che sono proprio loro i Paesi che potranno avere maggior vantaggio. Sono già in attività computer che svolgono quanto richiesto loro senza bisogno di istruzioni scritte ma comandati dalla voce dell’uomo. La “rivoluzione informatica” potrebbe trasformare questi Paesi senza bisogno che passino attraverso l’industrializzazione e le difficoltà di quel processo di sviluppo. È possibile, se lo si vuole, il salto direttamente da uno sviluppo preindustriale ad uno sviluppo postindustriale. Due considerazioni Tutto ciò può voler dire profonde “rivoluzioni culturali”. Vivere nell’età dei microcomputer sarà certamente ben diverso dal vivere nell’età industriale o pre-industriale. Vorrà dire, certamente, abitudini nuove anche nella vita quotidiana. Ricordiamo i nostri nonni e bisnonni e le difficoltà che hanno avuto in tanti cambiamenti. Altrettante ne avremo noi. La prima considerazione.
Dobbiamo prepararci a cambiare, a scoprire una nuova condizione umana, un modo nuovo di vivere. Dobbiamo voler vivere in questo cambiamento o rischieremo di esserne sommersi, emarginati, incapaci di gestirlo, succubi della volontà di altri, dei consumi che altri ci imporranno rendendoci più schiavi di prima. Per non essere schiavi dei robot dobbiamo esserne i padroni – come umanità nel suo complesso – dobbiamo dare ad essi significato, utilità, fini e obiettivi da raggiungere. Perciò i robot ci saranno, i microcomputer ci saranno., l’informazione a distanza ci sarà. Anche se dovremo ragionare in termini di tecnologie appropriate. La complessità del nostro mondo attuale è molto alta. Le realtà si compenetrano. Le prospettive si intersecano. Non si può pensare che esista una soluzione e una sola; una tecnologia e una sola. Le tecnologie appropriate (anche intermedie, anche semplici, anche povere) sono il nostro futuro.

Le tecnologie dei microcomputer (anche i robot, anche l’informazione a distanza) sono il nostro futuro. È questa una delle ricchezze del mondo. Ed è questo uno dei compiti più importanti per l’uomo. Usare tutto quello che ha a disposizione per finalizzarlo al bene suo e degli altri uomini. Scoprire e saper scegliere, di volta in volta, le cose che meglio servono in quel caso, le tecnologie che sono più appropriate. Essere consapevoli che anche dalle nostre scelte, dal nostro coraggio nell’adattarci, nell’affrontare il futuro dipende la possibilità, per molti, di vivere una vita più umana. Tutto ciò anche se la tecnologia non è tutto, anche se ne conosciamo i limiti; anche se sappiamo che è la volontà che muove gli uomini e non le macchine. E questa è la seconda breve considerazione. La “rivoluzione culturale” deve interessare innanzi tutto le volontà: volontà di limitare i consumi perché senza questa volontà anche i microcomputer saranno incapaci di dar da mangiare a tutti; volontà di distribuire equamente i beni a disposizione perché altrimenti anche i robot servano per sfruttare la povera gente e non per aiutarla nello sviluppo; volontà di usare la tecnologia, capirla, piegarla al servizio delle reali esigenza dell’uomo, per espandere nel mondo – anche con il suo aiuto – la vita che è coscienza, ricerca della verità e amore.

dalla rubrica di Progetto 1981 LA SPERANZA TECNOLOGICA (3/10)

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