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Eppure il Brasile stava bene...

Date 13-05-2016

 

In questi giorni, tanti amici italiani, sapendo che viviamo a San Paolo, ci chiedono cosa sta succedendo in Brasile... Mi viene in mente una frase del missionario comboniano Kizito Sesana: “Le risposte semplici a problemi complessi non sono mai convincenti, anche se potrebbero soddisfare chi è avvezzo alle frasi fatte e a urlare slogan”.
Certamente fare una sintesi è necessario, ma accettate almeno un piccolo consiglio “prima dell’uso”: evitare scrupolosamente ogni comparazione con la situazione italiana, il Brasile è una realtà completamente diversa, sotto ogni aspetto.


IL BRASILE STAVA BENE...

Il Brasile, negli ultimi decenni, ha raggiunto grandi risultati: prima di tutto è rimasto una democrazia (e non è poco, se si considera che il paese ha vissuto sotto un regime militare dal 1964 al 1985), le condizioni di vita della popolazione sono effettivamente migliorate, anche per le fasce più povere, e il peso internazionale del paese è indubbiamente cresciuto, sia a livello economico che mediatico: basti pensare ai grandi eventi sportivi come la Coppa del Mondo e le imminenti Olimpiadi di Rio de Janeiro.

Protagonista di questi risultati è, senza dubbio, Luiz Inácio “Lula” da Silva e il suo Partido dos Trabalhadores (PT), di cui è uno dei principali fondatori. Quando divenne presidente per la prima volta, nel 2003, l’economia brasiliana poteva contare sulla grande crescita del prezzo delle materie prime, sulla cui esportazione è fondata. Secondo uno studio del governo di Brasilia, nel primo decennio degli anni 2000, la classe media brasiliana è cresciuta di oltre 30 milioni di unità (frutto, ovviamente, anche dell’operato dei governi anteriori). Nelle casse brasiliane entrava molto denaro che il governo Lula ha in buona parte redistribuito creando grandi programmi sociali che hanno liberato dalla povertà milioni di famiglie: oggi, solo per fare un esempio, oltre 12 milioni di esse ricevono un aiuto monetario dal famoso programma “Bolsa Família”, impegnandosi, in cambio, a vaccinare i figli e a mandarli regolarmente a scuola.

EPPURE, QUALCOSA NON ANDAVA...

Nonostante questi preziosi risultati, l’eredità di innumerevoli problemi storici non si è di certo dissolta magicamente: le grandi disuguaglianze sociali, la cattiva formazione scolare e professionale, un sistema sanitario pubblico a dir poco fragile, carenze infrastrutturali, un regime burocratico e fiscale complicato... e il famoso “jeitinho” per risolvere le pratiche politiche e di amministrazione quotidiana a proprio vantaggio (tangenti, favoritismi, appalti truccati, riciclaggio di denaro...) sono l’altra faccia della medaglia, che non ha mai smesso di esistere e che è riemersa con forza quando gli effetti della crisi finanziaria mondiale del 2008 hanno raggiunto questa parte del mondo.

Già prima dell’insediamento della presidente Dilma Rousseff (succeduta a Lula nel 2011, ex-guerrigliera e prima donna a diventare presidente del paese) il ritmo della crescita economica brasiliana stava rallentando, e così i consumi e la produzione industriale.

Un indicatore: nel giugno del 2013, in concomitanza con l’apertura della Confederations Cup (anticipazione del mondiale di calcio 2014), una protesta iniziata a San Paolo contro l’aumento di 20 centesimi di Real del costo dei trasporti pubblici finì con l’innescare una serie di manifestazioni nelle principali città brasiliane che esprimevano un ampio malcontento sociale, non solo verso le spese sostenute dal governo per l’organizzazione dei grandi eventi sportivi, ma, più in generale, contro la corruzione e la gestione finanziaria e politica di ogni livello amministrativo. Il Paese, etichettato come il “País do futebol”, si preparava al Mondiale di calcio in un clima di pessimismo e di sfiducia verso il futuro e non con l’entusiasmo che ci si sarebbe aspettati (la storica sconfitta per 1 a 7 contro la Germania sarà una tragica “conferma sportiva” di queste sensazioni).

Nel frattempo, un agguerrito gruppo di magistrati, attraverso l’inchiesta denominata “Lava-Jato” (letteralmente, “Autolavaggio”, considerata dalla polizia federale come la più grande indagine anti-corruzione nella storia del paese...), cominciò a mettere in luce, a partire dalla gestione dell’azienda petrolifera statale Petrobras, tutti gli illeciti compiuti dalla classe politica proprio negli anni della “grande crescita”, rivelandone tutta la sua fragilità.

L’indice di apprezzamento verso il governo e soprattutto verso la presidente scesero ai minimi storici, anche se i sondaggi continuarono a puntare su di lei per le nuove elezioni presidenziali dell’ottobre 2014, elezioni che Dilma riuscì a vincere, ma con un’immagine decisamente indebolita dal proseguire della crisi economica e politica (e anche istituzionale e morale).

Nel 2015, l’indice di disoccupazione rivelò un brusca inversione di tendenza rispetto al 2014, registrando il licenziamento di oltre un milione e mezzo di persone. Le manifestazioni anti-governative (per lo più trascinate da una classe media frustrata nelle aspettative per servizi pubblici più efficienti e standard di vita sempre più alti) si intensificarono (anche quelle pro-governo, ma in modo meno “spontaneo” e numericamente meno importante), arrivando a chiedere esplicitamente le dimissioni della presidente. Vennero presentate decine di richieste di impeachment nei suoi confronti (di cui il Brasile ha un precedente: nel 1992 un altro presidente, Fernando Collor de Mello, fu destituito dal suo incarico attraverso questa procedura).

UN FUTURO “AD INTERIM”...

Il 2 dicembre del 2015, una richiesta di impeachment presentata da deputati dell’opposizione, che accusavano Dilma Rousseff di irregolarità contabili commesse nel periodo della sua rielezione, viene accolta dal (sino a pochi giorni fa) presidente della camera dei deputati Eduardo Cunha – in teoria alleato di Dilma, anch’egli accusato di corruzione – che autorizza formalmente l’apertura del procedimento.

Nel frattempo, le indagini della “Lava-Jato” raggiungono anche l’ex presidente Lula, accusandolo di aver ricevuto proprietà e vari “presentes” da ex appaltatori del governo. La notizia suscita grande scalpore, ma, ancor più forti sono le reazioni (indignate) al fatto che la presidente Dilma, già in grave difficoltà per via dei motivi sopra citati, offre all'ex Presidente uno dei ministeri chiave del suo governo.

È stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso: l’opposizione, gran parte della stampa e una fetta importante dei suoi alleati di governo (compreso il Partito dell’allora vice-presidente Michel Temer e, da ieri, giovedì 12 maggio, dopo la destituzione di Dilma, presidente “ad interim”) hanno gridato allo scandalo, accusandola di aver chiamato Lula unicamente per cercare di proteggerlo dalle investigazioni della “Lava-Jato” e, dunque, abusando del suo potere ed operando contro la giustizia.

Da quel punto in poi, la “partita a scacchi” delle varie mosse politiche e giudiziarie è divenuta, più esplicitamente, un “campo di battaglia”, che si é riverberato in gesti e manifestazioni di piazza, divise tra chi grida al “golpe” contro il governo di una presidente legittimamente eletta e chi vorrebbe fare piazza pulita non solo del suo governo, ma di tutti i politici corrotti.

In questo clima, il 17 aprile, una domenica pomeriggio, dopo giorni di discussioni estenuanti, la camera dei deputati di Brasilia, con 367 voti favorevoli e 137 contrari – espressi uno per uno, in diretta Tv, con la possibilità di una dichiarazione di voto (cfr. NP aprile 2016, p. 2) –, ha pronunciato uno schiacciante “si” alla continuità della procedura d'impeachment'. Questo stesso “si” è poi stato ratificato dal senato, nella notte di ieri, 12 maggio, con 55 voti favorevoli e 22 contrari, che hanno sospeso dall'incarico la presidente ed insediato, “ad interim”, il vicepresidente Temer per 180 giorni, tempo a disposizione dello stesso senato per esprimere un verdetto definitivo sull'effettiva destituzione di Dilma Rousseff. 

Purtroppo, in un momento così buio della storia brasiliana, riesce davvero difficile intravedere (per ora) reali spiragli di luce e chi descrive l’attuale crisi politica come il frutto di una mobilitazione popolare contro la corruzione e a favore della costruzione di una democrazia più trasparente e partecipativa rischia di prendere lo stesso abbaglio di chi, qualche anno fa, faceva del Brasile un oggetto di ammirazione planetaria per il suo sviluppo economico.

Simone Bernardi
Fraternità della Speranza
San Paolo del Brasile

Arsenale della Speranza
Arsenal da esperanca
facebook.com/arsenaldaesperanca

 

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