L’arte dell’incontro
Date 08-06-2024
Tanta gente viene al monastero, di tutte le età e di tante culture diverse: ognuno arriva con un grosso bagaglio di interrogativi, ansie, sofferenze e anche rabbie. Non mancano neanche le gioie e i ringraziamenti, l’affetto e la vita di famiglie in cui ci si vuole bene: accogliere in silenzio e senza pregiudizi è ciò che il Vangelo ci insegna e che cerchiamo di fare. Dal silenzio nasce una parola e questa parola ha un peso; non il contrario. Il silenzio dopo la parola, se non è un vero ascolto accogliente, rischia di covare un dissenso, una critica, un giudizio. Le persone tornano altre volte, in genere con lo stesso bagaglio, ma forse alleggerito dal ricordo di un ascolto ricevuto. È così che il monastero diventa un luogo di amicizia, un’amicizia che non è solo su due punti di una linea retta, ma che diventa un’onda i cui cerchi si allargano, diventando senza confini, dolcemente e silenziosamente. È un modo per vivere, non con metodi artificiali, calcoli e stratagemmi complicati, quella splendida realtà descritta da un cistercense del dodicesimo secolo: «Dio è amicizia». Il monastero è la casa di Dio e la casa di Dio è senza confini, senza padroni di casa che dettano lo stile, con un cuore le cui braccia si estendono finché trovano qualcuno che ha bisogno di essere amato e abbracciato. Non è l’isola dell’Utopia di Thomas More, è un luogo di conversione che diventa o deve diventare un segno per un’umanità nuova: se questo è possibile fra quindici o venti persone può essere possibile per i miliardi di uomini e donne che popolano il mondo.
L’amicizia non è una cosa facile, non è un fiume che scorre tranquillo fra due rive, senza esondare o senza creare delle secche. Occorrono briglie che frenano gli impeti delle correnti, dighe che raccolgono per distribuire meglio la ricchezza delle acque delle nevi che si sciolgono e devono essere conservate per i tempi lunghi della sete dei campi e di tutto ciò che l’acqua muove e fa vivere; occorrono argini che incanalano e che si aprono per altri canali che portano quel bene lontano. Un fiume scorre, le sorgenti sono ricche e coloro che le sfruttano devono pensare a quanti vivono grazie all’acqua che arriva fino a pianure assetate e aride. Pensiamo al Nilo, al Giordano, all’Eufrate, fiumi biblici, che dovrebbero ricordarci la bontà di Dio, che non fa preferenze di persone, e che, nonostante ciò, danno luogo a molte lotte, dissidi e guerre.
Esiste un’arte di vivere: quello che indica il saper vivere non è sempre coerente con la parola stessa. Una poesia di Vinicius de Moraes, citata dal papa Francesco nella Fratelli tutti recita: «La vita è l’arte dell’incontro, anche se tanti scontri ci sono nella vita». Arte dell’incontro, mentre può diventare arte dell’esclusione, arte del guardarsi in faccia per far nascere un’amicizia, mentre spesso è arte del guardare per terrorizzare. Non è solo questione di popoli nemici, questo dramma esiste nelle famiglie, nelle scuole, nelle palestre e in tanti luoghi in cui si deve educare, mentre si diseduca propugnando la legge del più forte.
L’esperienza dell’accoglienza evangelica non termina mai. Deve essere ricominciata ogni volta, perché una persona non è sempre uguale a se stessa e non è mai uguale a un’altra. Se questo discorso può valere per le persone che portano delle grosse responsabilità, non bisogna dimenticare che ogni bambino deve già essere educato a questo sentire sociale, al rispetto, all’accoglienza, all’accettazione del diverso, alla pazienza e all’offerta gratuita dell’amicizia.
Cesare Falletti
NP aprile 2024