A che punto è la notte
Date 22-03-2021
Improvvisamente, ci siamo trovati soli nel deserto del virus… «Ognuno sta nel cuor della terra», come scrive il grande Salvatore Quasimodo, «trafitto da un raggio di sole ed è subito sera». Lo è stato per tanti, troppi, quasi 70mila, una città. Soli, davanti a Dio e al mistero. Soli, di fronte all’immenso. Soli, di fronte ad una pandemia spietata che ci fa impazzire. Soli, i ricoverati in ospedale, che non possono parlare con nessuno perché hanno lo scafandro del ventilatore e la paura dell’ignoto. Di loro non abbiamo notizie per giorni, nonostante la buona volontà di medici e infermieri cui va la nostra gentilezza spirituale per ciò che ci danno a casa, negli ospedali, nelle residenze per anziani. Così ci scopriamo: impotenti di fronte al male, impietriti dal dolore, ora con la speranza del vaccino ma zittiti dall’angoscia.
Capita a noi, nell’epoca delle parole: quante inutili (dai social e sulle tv)! Quante cattive e dette per ferire, per colpire, per far soffrire. Ora, sono le parole non dette a farci male dentro.
Ricordo una pergamena che mi diedero gli ex deportati nei campi di concentramento nazisti, vi si legge: «Avete ascoltato le nostre parole e i loro silenzi. Insieme percorreremo il sentiero della memoria». Proprio così perché, a volte, prima non siamo riusciti semplicemente ad ascoltare; ora salutiamo i nostri affetti soltanto con gli occhi, il cuore e le lacrime. Improvviso come un uragano ci è piombato addosso l’incontro di massa con il dolore. Per noi, figli del consumismo, si tratta di un’esperienza che, come tutti, avremmo voluto evitare. A volte non si può e si piange: il pianto aiuta. Aiuta tanto, come la fede, e ci offre un’ancora cui aggrapparci.
I nostri nonni, durante la guerra, andavano nei ripari. Si sapeva che il pericolo arrivava dal cielo, dalle spie, dall’odio. Oggi, il nemico subdolo, cinico e baro si nasconde. Siamo soli, nelle case riscaldate, collegate con internet, con la paura del contagio e il sospetto diffuso della malattia. Possiamo sforzarci di non coltivare soltanto l’angoscia di Maria, sorella di Lazzaro: «Signore, se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto». È risorto. Come Gesù. Sì, c’è una luce in fondo al tunnel.
Più di ogni altro, il Natale 2020 è stato l’inizio dell’anno della speranza, della rinascita, anche nella sofferenza vissuta o percepita. Sì, è giusto chiedersi: «A che punto è la notte?». Passerà…. Perché c’è una luce… Senza, il mondo sarebbe grigio, banale, pesante, insopportabile. Quella luce ci guiderà, scalderà i giorni, le ore, i minuti, gli sguardi e, quando potremo, gli abbracci.
So cosa vuol dire quando una mano si stacca dalla tua: è la desolazione, l’angoscia, lo sgomento. È durissimo da sopportare con le nostre fragilità, gli errori, le invidie, il lavoro, i bimbi, la scuola. Ma la strada per uscire da questo isolamento di incertezza sta solo là, in quella stella. O ci crediamo o lasciamo che il mondo giri, magari al contrario, come adesso.
C’è scritto nel Qoèlet della Bibbia: «C’è un tempo per...». Ecco, forse il tempo delle lacrime, dei brividi, dei tremori, della debolezza, dello sgomento sta finendo, sta sorgendo il sole di un nuovo giorno. Un giorno che verrà.
Gian Maria Ricciardi
NP Gennaio 2021