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Le sfide di Mogadiscio

Date 15-04-2024

por Redazione Sermig

La Somalia sta continuando la lotta contro il terrorismo jihadista. Le altre sfide del Paese decimato da tre decenni di guerra civile sono le carestie e l’instabilità esterna

Sarà un anno decisivo per il futuro della Somalia. Il governo del presidente Hassan Sheikh sta continuando la lotta contro il terrorismo jihadista di Al Shabaab che fino a tre anni fa aveva in pugno la zona circostante Mogadiscio, mentre oggi controlla solo zone rurali distanti centinaia di km (anche se ha conservato la capacità di colpire la capitale). Le altre sfide di questo Paese di 18 milioni di abitanti, decimato da tre decenni di guerra civile, sono carestie e guerre esterne. Cruciale per la pace in Africa vedere se sarà in grado di vincerle.

il governo di Hassan sheikh ha già ottenuto la riduzione di miliardi di dollari del debito pubblico, ha convinto il Consiglio di Sicurezza ONU ad alleggerire l’embargo di armamenti e ha aderito ufficial mente al mercato comune dell’Africa orientale. Insomma sono stati compiuti alcuni passi avanti anche se restano diverse criticità che la Somalia non può affrontare da sola. A cominciare dalla stessa sconfitta del terrorismo. Il problema non sono i 7-8mila jihadisti armati, ma il consenso trasversale ai clan che riscuotono. Il governo dovrà dimostrare di provvedere autonomamente alla propria sicurezza perché la missione di pace dell’Unione Africana si ritirerà a dicembre. E se, nella capitale Mogadiscio, la gente ha imparato a convivere con la paura di attentati in una continua ricerca di normalità fatta di cantieri e smartphone, nelle zone rurali circa 7 milioni di persone fanno i conti con le piaghe bibliche della fame, della guerra e delle malattie. La povertà estrema, la malnutrizione, i mutamenti climatici che stanno colpendo particolarmente il Corno d’Africa – con siccità di anni seguite da piogge violente e alluvioni mai viste prima che hanno ucciso l’agricoltura – sono difficilmente affrontabili singolarmente, tenuto conto del concomitante aumento dei prezzi di fertilizzanti e cereali conseguenti alla guerra russo-ucraina e la concentrazione degli aiuti umanitari globali su quel fronte e a Gaza.

In più, la Somalia deve affrontare due serie minacce, una interna e l’altra esterna. La prima è la corruzione a livelli elevati, tra i peggiori al mondo, che inquina ogni segmento della vita politica e sociale; la seconda è la pressione etiope per avere uno sbocco sul Mar Rosso. Il braccio di mare è diventato strategico per il commercio internazionale e la Somalia, con la costa più estesa dell’Africa dal Mar Rosso all’oceano Indiano, un attore chiave per controllarlo. Ma l’accordo tra Etiopia e Somaliland, l’ex protettorato britannico che da decenni rivendica la propria indipendenza, per affittare ad Addis Abeba il porto di Berbera e 20 km di costa, fa inasprire le relazioni tra i due Paesi. Il premier Abiy si è impegnato a pagare l’affitto cedendo il 20% della proprietà di Ethiopian Airlines e soprattutto riconoscendo il Somaliland. Mogadiscio si è detta pronta a combattere per difendere la propria integrità territoriale, trovando il consenso di Eritrea e Gibuti, di Turchia e Usa.

Hassan Sheikh ha inoltre rinnovato l’accordo di cooperazione politico militare con Ankara mentre l’Etiopia, secondo i somali, è sostenuta dagli Emirati Arabi. Abu Dhabi teme la concorrenza portuale di Mogadiscio. Che ruolo può giocare l’Italia? Piano Mattei o no, gli storici rapporti con i due rivali possono venire usati dalla nostra diplomazia per una mediazione, mentre si dovrebbe aiutare la sicurezza somala non attraverso la vendita di armi, bensì con la formazione nelle nostre università di medici, giuristi, architetti e ingegneri e di tutte le figure necessarie allo sviluppo oltre ad avviare progetti di cooperazione in pesca e agricoltura, restituendo ai somali la grande ricchezza rubata loro dalla guerra.

Paolo Lambruschi

NP Marzo 2024

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