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Le vicende del Corno d’Africa oltre ogni forma di indifferenza

Date 16-02-2024

por Redazione Sermig

Dimentichiamo spesso gli effetti della guerra, ma la lezione che arriva dal Corno d’Africa, inascoltata e trascurata come i conflitti che spesso la insanguinano, deve scuotere le coscienze.

L’Etiopia, che fino al 2020 era una tigre africana, con un’economia che pareva in crescita inarrestabile e un giovane leader riformista alla guida, oggi è in default. E la causa del fallimento è proprio la guerra, anche se nessuno lo ammette veramente, perché il Paese si è dovuto indebitare per comprare le armi per combattere due anni la guerra civile nella regione etiope del Tigrai. E il Tigrai devastato è «sull’orlo di una catastrofe umanitaria» paragonabile alla carestia del 1984-85 che diede vita all’evento musicale di raccolta fondi Live Aid. Questo sostiene Getachew Reda, presidente del governo regionale ad interim, citato dalla bbc. Secondo Reda «fame e morte» aleggiano sulla regione settentrionale, anche se le autorità federali hanno negato l’esistenza di una carestia. Ma negano al pari l’ingresso ai media.

Si ritiene che il conflitto abbia provocato la morte e lo sfollamento di centinaia di migliaia di persone, distruggendo infrastrutture strategiche e rendendo il Tigrai molto vulnerabile. La siccità in alcune aree e un’invasione di locuste hanno aggravato la situazione, ha aggiunto Getachew. Il 91% della popolazione della regione è esposto al «rischio di morire di fame». Ma è difficile anche stabilizzare la pace. L’Alto commissario dell’onu per i diritti umani, Volker Türk ha chiesto che si faccia una “vera” giustizia in Etiopia, facendo riferimento alle vittime degli abusi sessuali, delle stragi di civili e di saccheggi avvenuti proprio durante la guerra. L’Ufficio dell’onu per i diritti umani e la Commissione etiope per i diritti umani (ehrc) hanno pubblicato un rapporto congiunto in cui si chiede ad Addis Abeba di affrontare le violazioni e gli abusi commessi. Se non verranno puniti i responsabili la guerra rischia di ritornare.

Il Tigrai ha fatto da modello per il Sudan che rischia fame e una spartizione modello Libia nove mesi dopo lo scoppio della guerra civile. Secondo ocha, l’agenzia onu per l’assistenza, i bisogni umanitari sono aumentati e quasi 25 milioni di persone necessitano ora di assistenza in Sudan. Più di 6,8 milioni di persone sono state costrette a lasciare le proprie case per mettersi in salvo negli Stati limitrofi o nei campi per sfollati. Preoccupa in particolare la situazione nello stato di Jazira, nel Sudan meridionale, granaio del Paese dove a dicembre sono cominciati scontri molto violenti tra i paramilitari delle forze di supporto rapido e le forze armate sudanesi che si contendono il controllo del Paese dalla metà di aprile. Il crollo della produzione agricola potrebbe aggravare a breve la difficile situazione umanitaria.

Da mesi, a ovest, il Darfur, già martoriato 20 anni fa dalla guerra è teatro quotidiano di violenze e orrori contro le tribù di origine africana da parte delle forze ribelli di supporto rapido che appartengono soprattutto alle tribù arabe. Quindi il conflitto sta diventando etnico. Ma alla comunità internazionale interessa soprattutto il fatto che l’oro del Darfur possa finire nelle mani di Putin attraverso il gruppo Wagner, alleato delle forze di supporto rapido, per pagarsi la guerra Ucraina, mentre l’esercito regolare controlla il Mar Rosso e gli oleodotti che riforniscono la Cina da Porto Sudan. Nessuno interviene a fermare gli orrori perché la guerra conviene all’economia di sfruttamento dell’Africa, ai fabbricanti di armi, a vecchie e nuove potenze. Ricordiamocelo in questo gennaio, mese tradizionalmente dedicato alla pace, che oggi ha più che mai bisogno della nostra coscienza informata.

Paolo Lambruschi
NP Gennaio 2024

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