Un ritorno al futuro
Date 18-06-2024
Esiste una domanda che attraversa la storia della Turchia moderna, fin dai primi mesi della Repubblica voluta da Mustafa Kemal, sulle ceneri dell’Impero ottomano, un secolo fa: dove nascono le difficoltà di questo Paese nella tutela dei diritti fondamentali?
Nel tentativo di rispondere, bisognerebbe evidenziare le discrasie esistenti non solo fra la tutela effettivamente garantita e le disposizioni costituzionali, ma anche fra queste ultime e gli standard del costituzionalismo liberal-democratico.
Sin dalle origini della Repubblica, i diritti civili e politici, formalmente garantiti, furono in realtà limitati dall’imposizione di un rigido monopartitismo giustificato dalla volontà di accelerare quanto più possibile i tempi della modernizzazione. È la scelta ideologica di «costruire» il nuovo cittadino turco a partire da un peculiare secolarismo militante e da una nozione di cittadinanza fondata sulla protezione dell’integrità statale da ogni possibile rivendicazione territoriale delle minoranze.
Per un Paese che doveva inventarsi una identità sul modello degli Stati nazione, decisamente in contra-sto con l’universalismo proprio degli Imperi trans-nazionali e trans-culturali, quale l’Impero ottomano, la scelta pareva per molti versi obbligata, pena scomparire totalmente dalle carte geografiche, lasciando i rimasugli di un territorio sconfinato e altamente strategico, in pasto alla vorace politica di espansione delle potenze europee.
Paradossalmente la più grande preoccupazione è quella di proteggere lo Stato dai cittadini, piuttosto che considerare i cittadini una risorsa per la vivacità dello Stato.
Questa tendenza si è rinnovata anche negli ultimi 25 anni di potere dell’AKP (Partito della Giustizia e dello Sviluppo) e, in particolare del suo fondatore e leader, Tayyip Erdoğan, anche se sotto le mentite spoglie di una retorica populista in cui lo stesso referendum per l’elezione diretta del presidente (22 luglio 2007) venne presentato come una scelta fra la maggiore inclusione del popolo nelle decisioni circa i propri leader e il perseguimento della visione elitaria del CHP (il partito kemalista d’opposizione). In realtà, fu un astuto stratagemma per una mutazione della forma di governo in senso presidenziale, e quindi accentratore, rimediando all’incapacità del Parlamento di approvare i 18 articoli contenenti la modifica della Carta fondamentale in senso presidenziale. Con 330 voti su 550, non si era infatti arrivati alla maggioranza qualificata di 367 voti richiesta per l’approvazione della nuova legge costituzionale. Si consentì al presidente, inoltre, di detenere cariche partitiche, segnando così lo stravolgimento della tradizione turca che ha sempre fatto di quella carica la garanzia laica dell’imparzialità.
Claudio Monge
NP Maggio 2024